marzia, "dall'andatura marziale", si racconta con furia, violenza, spudoratezza. la sua è una prima persona che morde e che si muove dentro lo spazio asfissiante di una famiglia malata, tremenda, cattiva. cresce nella periferia di roma, con un padre crudele e codardo e una madre devota, sino allo strazio, al coniuge infedele. mentre il fratello, cuffie sulle orecchie, si estrania sino all'indifferenza, marzia combatte, e nulla le viene risparmiato. educa il suo fisico asciutto alla lotta greco-romana e impara a mettere fra sé e il mondo la barriera del suo corpo. ma non basta. non può sfuggire al conflitto, alla strategia del ragno che padre e madre, in maniera diversa, le tessono intorno. ha creduto e continua a credere che esiste la perfezione: l'ha vista in un cane che non è riuscita a difendere e l'ha vista in un ragazzo incontrato su un sentiero di montagna. l'ha vista ma la sa perduta, minacciata dalla volgarità di una pernacchia. per arrivare a una via d'uscita sono necessari un sacrificio, una svolta, una chiusura di conti. sul sentiero sgretolato degli affetti, marzia avanza impavida al di là della scuola di rabbia, rimpianto e morbosa dedizione in cui si è formata. avanza come un cowboy o ancora meglio come la donna libera che ha sempre voluto essere. romana petri accompagna l'io martellante della sua marzia sull'orlo di un abisso. eppure l'inferno che ci mostra appartiene a un "tutto" che, quanto più sente l'ustione del mosaico guasto dei sentimenti, tanto più apre a una esistenza possibile.